Accade ogni giorno nelle migliori agenzie di comunicazione e nei migliori reparti marketing. Migliaia di Euro vengono sprecati per cavalcare un presenzialismo che non ha alcun senso strategico. Si sta rimandando il cambiamento radicale di un modello di comunicazione che non è più sostenibile. Ecco quello che succede su Facebook (e sui canali social), spiegato con quattro metafore per nulla iperboliche.
Parodia del piano redazionale.
L’altro giorno c’era una festa in casa Facebook.
“Matteo, dobbiamo esserci, ci andranno tutti.” Ha detto l’amministratore delegato di un’azienda che vende olio d’oliva.
“È il nostro momento, venderemo tantissimo olio”. Ho risposto io. E sono partito a spron battuto.
Però a un certo punto mi sono preoccupato. “Ci saranno tante opportunità di conversazione, è meglio preparare dei discorsi.” Così mi sono chiuso in ufficio con il mio team, fino a notte fonda, e il giorno dopo avevamo sul tavolo una gran quantità di post molto “ingaggianti” e “real time“.
Sono uscito con le tasche piene di parole. Talmente piene che non sapevo più dove mettere le mani. Appena sono giunto a casa Facebook ho sentito il dovere di alleggerirmi e dopo neppure cinque minuti vorticavo da un capannello all’altro inserendomi nelle conversazioni al momento più opportuno. Ho sciorinato le mie leggerezze con grande stile dicendo “Olio d’oliva” sempre al momento giusto.
Ecco un esempio. Ero davanti a una manciata di persone che cazzeggiavano e mi sono inserito così:
“Quest’aria di primavera mi fa sentire leggero. Proprio come il mio olio d’oliva. E voi, come celebrate la leggerezza della primavera? Aspettiamo le vostre foto!”
Grandioso vero? Pensate che l’amministratore delegato paga ogni anno decine di migliaia di euro per fare questo.
Parodia dell’engagement.
L’altro giorno c’era una festa da Facebook.
“Matteo, dobbiamo esserci, ci andranno tutti.” Mi ha detto l’amministratore delegato di un’azienda che vende olio d’oliva.
“È il nostro momento, venderemo tantissimo olio”. Ho risposto io. E sono partito a spron battuto.
Per far sorridere un po’ i clienti e spingere al massimo le vendite ho avuto un’idea geniale. Mi sono presentato con un gattino in braccio.
Il risultato? Straordinario. Tutti divertiti. Pacche sulle spalle, commenti, qualcuno ha pure condiviso una mia foto con i suoi amici.
E quando sono tornato a casa e mi sono tolto la giacca, dovevate vedere la mia schiena, era tutta piena di Like. Ecco il perché di tutte quelle pacche sulle spalle.
Il giorno dopo ho presentato il report all’amministratore delegato. È stato un successone: con un valore di engagement che ha sfiorato il 3 si è quasi commosso.
Parodia del reach.
L’altro giorno c’era una festa da Facebook eccetera eccetera e quindi sono partito a spron battuto.
Mi sono pettinato di corsa, mi sono messo i vestiti della domenica, ho indossato i mocassini, quelli belli. Poi ho lavato la macchina aziendale, ho fatto il pieno, ho pure cambiato l’Arbre Magique e mi sono avviato verso Villa Facebook.
Non voglio andare per le lunghe. Confesso subito che ho fatto un piccolo errore: sono uscito senza carta di credito. Mi sono scordato che oggi, per farsi vedere a Villa Facebook, bisogna pagare.
Quando sono arrivato ho trovato un energumeno all’ingresso.
“Qui non si entra senza carta di credito” mi ha detto risoluto.
“Ma io sono quello dell’olio d’oliva, mi conoscono tutti. E poi fino a ieri si entrava gratis!”. Gli ho risposto un po’ seccato.
E lui: “Niente da fare. Paga o sono guai!”.
A me, questa cosa non è piaciuta per niente. Però il risultato l’ho portato a casa, e alla grande! Mi sono fermato all’entrata a parlare con circa il 3% degli invitati che mi sfilavano davanti. “Olio petaloso!” “primavera di leggerezza!” gli sussurravo al passaggio.
Il giorno dopo sono andato dall’amministratore delegato e gli ho detto che ho messo in pista l’ammiraglia aziendale per il 3% di reach. Gli ho anche confessato di aver scelto l’Arbre Magique al pino silvestre. Lui mi ha abbracciato felice come un bambino, forse perché si è ricordato il dopobarba al pino silvestre dei suoi vecchi tempi.
Parodia del “gioin the conversescion”.
L’altro giorno c’era una festa da Facebook eccetera eccetera e quindi sono partito a spron battuto.
“Ah, l’arte della conversazione” – ho pensato – “conversare con i clienti è un privilegio sublime. È il miglior modo di coccolarli e vendere i nostri prodotti”.
Preso dall’entusiasmo, mi sono preparato tutte le risposte immaginabili per ogni tipo di domanda e sono partito per la festa.
Qualcuno degli invitati era ubriaco. La maggior parte era in uno stato di trance. Altri strillavano per questioni di animalismo, calcio, riscaldamento globale, oppure con un sorriso ebete guardavano video di gattini, o abusi dei diritti umani. O cataclismi. È normale, alle feste di Facebook va così.
Ho iniziato a chiacchierare del più e del meno (petaloso e la primavera) fino a quando purtroppo il mio sguardo si è incrociato con quello di Saretta Love, una troll vegana che quel giorno era particolarmente frustrata.
Si è scagliata contro di me urlando che aveva trovato una mosca morta nella confezione d’olio premium di Natale e ha minacciato di non comprare mai più il mio prodotto “da poveracci”. Così si è permessa di definirlo.
L’hanno sentita tutti gli invitati. Dopo due secondi ognuno si era già dimenticato l’accaduto, ma per policy aziendale io ho dovuto attivare la procedura di crisis management – codice rosso.
“Mosca morta in confezione premium di Natale – mosca morta in confezione premium di Natale – codice rosso – codice rosso”.
Ho avvisato il mio stagista. A cascata sono stati attivati il responsabile del team PR, poi il PM, il marketing manager, il general manager e infine l’amministratore delegato.
Un giro di telefonate e mail incredibile che ha fatto lavorare 7 persone per 4 ore per un totale di 28 ore lavorative e un costo complessivo che, considerando ogni spesa fissa e variabile dell’azienda, ha superato di venti volte il lifetime value di Saretta Love. Ammesso che sia mai stata una nostra cliente.
Ma la risposta, suggerita dallo stagista appena uscito dallo IULM, ci ha fatto sentire orgogliosi di appartenere a un team aziendale affiatato e di avere un millenial con noi.
“Grazie della tua gentile segnalazione Saretta Love ☺. Il nostro olio è così fresco e buono perché è non filtrato, a decantazione naturale. Forse la mosca era un moschino che ci è sfuggito in fase di spremitura. Se ci contatti in privato e ci lasci il tuo indirizzo ti manderemo una confezione dell’ultima spremitura, fresca fresca di quest’anno ☺ ☺ ☺ !!!!”
Conclusioni.
- Se ogni giorno la vostra azienda va online con un nuovo post, finirete per avere una presenza social superflua, fuori strategia, fuori tono, confezionata male, con un’art-direction pietosa e un copywriting improvvisato.
- Media gratuito = produzioni low budget: non è una logica premiante.
- L’engagement può diventare un parametro quasi inutile. Se poi uscite dal format e dalla strategia, anche di poco, l’engagement diventa l’ago di una bussola impazzita.
- Un post che punta solo su risultati organici non vedrà il suo ROI neppure con il binocolo.
- I commenti su una pagina Facebook sono scritti da un cervello in “modalità Facebook”. Il loro peso specifico è quello di un peto nello spazio.
Soluzioni.
- Pagare per postare.
- Postare meno e meglio.
- Uscire con post integrati in un progetto crossmediale di ampio respiro.
- Avere una strategia di comunicazione (ve la ricordate?).
- Ragionare prima in termini di big idea (o concept, o campagna di comunicazione) e poi pensare al piano redazionale come declinazione.
- Applicare un tono di voce sempre coerente con l’off-line.
- Uscire dal tunnel della misurabilità non contestualizzata.
- Ridimensionare di molto le risorse dedicate al community management.
- Spostare la customer care, quella vera, su mezzi che implicano l’accensione del cervello e un minimo sforzo da parte del cliente.
Bonus track, la prova del nove:
- Prima di andare online chiedetevi: “con questo post, ci farei una pagina stampa?”.